I tannini sono presenti sia nei vini rossi sia in quelli bianchi ma solo nei primi sono chiaramente percepibili. Perché? E che funzione svolgono? Scopriamolo nel nostro articolo.
Sia gli amanti dei vini sia chi non ha una grande conoscenza in merito avrà sicuramente sentito parlare dei tannini. Ma cosa sono di preciso e soprattutto che cosa aggiungono al vino?
Che cosa sono i tannini
Chiariamo subito che non si tratta di componenti aggiunti in un secondo momento alla bevanda ma il tannino, o più correttamente i tannini, sono naturalmente presenti nel frutto stesso. Li contengono la buccia dell’acino d’uva, il raspo, ovvero la parte legnosa del grappolo e persino nei vinaccioli, i semini di ogni acino. L’uva non è il solo prodotto della natura a possedere i tannini ma anche altre piante ne hanno in gran quantità, soprattutto nelle parti lignee come la corteccia e le radici.
Proprietà dei tannini
Se li andiamo ad analizzare chimicamente, i tannini sono composti polifenolici e si distinguono in tre grandi classi principali: quelli idrolizzabili, i flavanoli e infine i florotannini, identificati recentemente e presenti in varie tipologie di alghe brune. Le caratteristiche basilari dei tannini li rendono ideali per molti scopi, come per esempio la conservazione del legno in ambienti particolarmente umidi, basti pensare alle navi, ma anche come antibatterici e antidiarroici per l’essere umano.
Quando ingeriti, le loro proprietà astringenti danno quella sensazione allappante tipica dei tannini vino ma bisogna prestare attenzione poiché hanno anche degli effetti negativi sull’organismo come per esempio l’inibizione degli enzimi digestivi. Assumere troppo quantità di tannini potrebbe portare a una sensazione continua di fame che non si riesce a saziare e ridurre l’assorbimento di ferro, zinco e vitamine.
Tannini nel vino
Torniamo però ai nostri tannini nel vino, per capire effettivamente a cosa servano nella nostra bevanda preferita. Innanzitutto i valori di tannicità possono dipendere da vari fattori, non solo dalla tipologia d’uva ma anche dal grado di maturazione, la vinificazione, la macerazione e poi il tempo passato in botti di legno. Nella prima fase di preparazione del vino, che vede la pigiatura degli acini raccolti, bisogna prestare particolare attenzione perché se si rompono i vinaccioli, i semini degli acini, questi rilasceranno una quantità tale di tannini da rendere il vino sgradevole. Con la classica pigiatura tradizionale, questo difficilmente avveniva, tuttavia con l’impiego di macchine è un elemento da non escludere.
Il livello di tannini può comunque essere equilibrato durante la vinificazione, con gli zuccheri e l’alcol che fungono da antagonisti per offrire le sensazioni morbide rispetto a quelle dure e astringenti dei tannini. Non bisogna comunque far scendere troppo il valore, soprattutto se si ha intenzione di conservare il vino. Abbiamo visto nel paragrafo precedente come questi composti siano utili nel preservare il legno, ma lo stesso si può dire del vino.
Tannini endogeni, esogeni ed enologici
Quelli definiti endogeni, sono presenti nell’uva, quelli chiamati esogeni, invece, provengono dal legno delle botti in cui la bevanda affina. Questi sono anche chiamati tannini nobili o dolci, poiché a differenza di quelli provenienti dalla pianta stessa, hanno una minore capacità astringente e pertanto non influiscono molto sul sapore finale.
Non sono gli unici, poiché troviamo anche quelli enologici, che vengono aggiunti in modo artificiale dal produttore. Svolgono una duplice funzione: innanzitutto eliminano eventuali odori poco piacevoli che si sviluppano durante la fermentazione, ma stabilizzano anche il colore del vino che, come sappiamo, prima di essere venduto, deve rientrare in una determinata palette cromatica relativa alla produzione di una specifica categoria.
Vino rosso o bianco?
I tannini sono sì presenti nei vini bianchi ma in quantità molto limitate, difficilmente quindi troverete un vino bianco allappante o che alla bevuta restituisce quella sensazione astringente. Inoltre, quando si prepara il vino bianco, le bucce dell’uva vengono rimosse dal mosto prima che la fermentazione avvenga, quindi anche le minime percezioni tanniche che dovreste avere sono del tutto eliminate.
I vini rossi sono quelli ricchi di tannini per eccellenza. Alcuni ne hanno di più mentre altri di meno e, nel prossimo paragrafo, vedremo insieme quali sono i rossi più e meno tannici.
Che cosa vuol dire tannico
Molto semplicemente, quando si parla di vino tannico, si fa riferimento a un prodotto ricco di tannini, invecchiato e che restituisce sensazioni organolettiche ben specifiche. Un vino poco tannico è invece solitamente più giovane.
Vini tannici
Tra i vini più tannici prodotti in Italia, abbiano quelli che sfruttano uve Nebbiolo e Barolo, coltivate soprattutto in Piemonte, ma anche la varietà di Aglianico coltivata a Taurasi, in provincia di Avellino. In ambito internazionale troviamo invece il Cabernet Sauvignon, Malbec e Tannat. L’Amarone si trova un gradino leggermente in basso, ma possiede comunque una buona quantità di tannini. Tra i vini rossi meno tannici, invece, figurano la Schiava, il Pinot Nero e Barbera.
Abbinamenti con vini tannici
Per gustare al meglio un vino ricco di tannini non c’è niente di meglio di un piatto che riesca a contrastare la sensazione astringente della bevanda. Non tutti i cibi, pertanto, riescono a bilanciare quella sensazione di secchezza tipica, bisogna quindi scegliere con estrema attenzione per rendere il pasto più piacevole e studiato.
Tra gli abbinamenti più famosi con i vini tannici troviamo carni in umido, arrosti con salse o anche carni particolarmente grasse, che abbiano una notevole quantità di succhi. Non solo secondi, però, dal momento che questi vini riescono a esprimersi al meglio anche con primi piatti ricchi e corposi, come una pasta al ragù o lasagne.
I tannini nel cibo
Poiché sono composti presenti anche in vari alimenti, è importante capire quali siano per non abbinarli al vino e ampliare così la sensazione di astringenza. Tra i più comuni abbiamo altre bevande, come caffè e tè, ma anche nei legumi, nella frutta secca, nei carciofi e, naturalmente, nei cachi, chiaramente avvertibili quando il frutto è ancora molto acerbo.
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