Cos’è la fermentazione malolattica del vino?

Ultimo aggiornamento: 26.04.24

 

Durante il processo di vinificazione, dopo la fermentazione alcolica del mosto viene avviato un secondo procedimento fermentativo, noto come fermentazione malolattica. In questo articolo scopriremo come avviene questo processo e quali sono i suoi effetti organolettici.

 

Se siete estimatori di vino, avrete sicuramente sentito parlare di fermentazione malolattica, un nome alquanto bizzarro per una fase molto importante della vinificazione. In effetti, tra i principali problemi che si riscontrano dopo la fermentazione alcolica del mosto, ossia il processo innescato dai lieviti che permette la trasformazione degli zuccheri contenuti naturalmente nel succo d’uva in alcol etilico e anidride carbonica, riguarda la stabilità biologica del vino stesso.

Una volta terminata la fermentazione primaria, infatti, la bevanda risulta piuttosto delicata e, senza le dovute misure preventive, le probabilità che si degradi sono davvero elevate. Questo perché la corretta maturazione di un vino non dipendono solo dalle componenti naturalmente presenti nel mosto – tra cui alcol, acidi, zucchero e polifenoli – ma anche dalla stabilità biologica che si ottiene attraverso la rimozione di batteri e sostanze nocive.

Ebbene, uno dei processi che aiutano a migliorare le caratteristiche organolettiche dei vini è proprio la fermentazione lattica, conosciuta comunemente anche con il nome di fermentazione secondaria. 

Un po’ di storia

Per quanto la gestione della fermentazione malolattica sia oggi un processo fondamentale per preservare le qualità organolettiche del vino, in realtà l’utilizzo di questo sistema è una conquista abbastanza recente, avvenuta solo nel 1900.

In effetti, già a partire dalla fine del XVI secolo i viticoltori avevano riscontrato una certa riduzione di acidità nei vini “maturi”, senza però riuscire a comprenderne le cause. La svolta avvenne nel 1800, quando il fenomeno fu attribuito all’assenza dell’acido malico nel mosto, ma bisognerà comunque attendere ancora un secolo per capire finalmente che questa diminuzione di acidità era dovuta a specifici batteri che avevano la capacità di trasformare l’acido malico in acido lattico.

 

Dal momento che durante questo processo viene liberata anche anidride carbonica, fu impropriamente definito fermentazione malolattica, equiparandolo cioè a un fenomeno fermentativo, e i batteri che ne erano responsabili vennero chiamati – per l’appunto – lattici.

In seguito, ulteriori studi dimostrarono come la conversione malolattica non fosse un vero e proprio processo fermentativo, quanto piuttosto una reazione di decarbossilazione, ossia di degradazione di un gruppo acido (-COOH) proveniente dalla molecola di acido malico in anidride carbonica e acqua (CO2 e H2O), dovuta ai lattobatteri oenococcus oeni e lactococcus lacti. Ed è proprio la produzione di CO2 a stabilizzare l’acidità volatile del vino rendendolo più strutturato, rotondo e complesso.

Che cos’è la fermentazione malolattica

Dopo la pigiatura delle uve avviene la fermentazione alcolica o primaria: in questa fase gli zuccheri presenti nel mosto vengono trasformati in alcol grazie all’aggiunta di lieviti e attivanti che avviano il processo di macerazione. Dal momento che dopo questa prima fase il vino è particolarmente delicato e suscettibile di degradazione a opera di batteri e sostanze nocive, per favorirne la maturazione viene avviata la fermentazione secondaria.

Si tratta, in pratica, di un processo enzimatico attraverso il quale l’acido malico viene trasformato in acido lattico, con conseguente riduzione dell’acidità del vino. Per questo motivo, il procedimento si ritiene indispensabile per la stabilità biologica dei vini rossi, nei quali è sempre favorito, e di alcuni bianchi sottoposti ad affinamento in barrique.

A tal proposito, però, è bene precisare che la malolattica viene generalmente evitata nei vini bianchi più giovani e freschi, che ci si aspetta caratterizzati da maggiore acidità e aromi meno “maturi”, nonché in quelli che hanno una certa quantità di zuccheri residui laddove la conversione innescata dai batteri lattici potrebbe provocare la comparsa del cosiddetto “spunto lattico” – noto anche come fermentazione mannitica – con relativa riduzione della freschezza e del profilo acido del prodotto finale.

La principale differenza tra fermentazione lattica e alcolica, quindi, è che la prima è dovuta all’attività dei batteri naturalmente presenti nel succo d’uva che vengono riattivati dopo la fermentazione primaria, mentre la seconda è una forma di metabolismo energetico che avviene in alcuni lieviti in assenza di ossigeno, favorendo la trasformazione del mosto in vino.

Come riattivare la fermentazione del vino

Affinché venga avviata la fermentazione malolattica è necessario che la temperatura sia compresa tra i 18 e i 20°C (senza mai superare i 22 gradi) e che il pH del vino sia compreso tra un valore di 3,4 e 4. Allo stesso modo, è necessaria la presenza di una bassa percentuale di anidride solforosa, fino a un massimo di 5 mg per litro, mentre l’alcol etilico deve essere inferiore ai 15°.

La presenza di questi fattori può essere in un certo senso favorita dagli enologi al fine di creare vini corposi e dalle caratteristiche organolettiche più complesse. Infatti, nel caso in cui non si presentino le condizioni ideali vengono in aiuto i batteri lattici liofilizzati da aggiungere al mosto dopo la fermentazione primaria. In alternativa è possibile addizionare al vino, che non avvia spontaneamente questo procedimento di conversione, dell’altro vino che è già in fermentazione malolattica, a patto però che i batteri inoculati sia già attivi.

All’attivazione del processo di conversione si nota che la superficie del liquido è leggermente increspata e caratterizzata dalla presenza di bollicine che sono il risultato della trasformazione dell’acido malico in lattico durante il quale viene liberata anidride carbonica.

Ricordiamo, inoltre, che questa fase assume un ruolo chiave anche sul fronte della conservazione, risultando fondamentale soprattutto per i rossi che vengono sottoposti a un lungo invecchiamento per migliorarne la struttura e l’aromaticità, e ha una durata complessiva che oscilla tra le quattro e le sei settimane, trascorse le quali si procede con la chiarificazione del vino e il suo travaso in contenitori di legno o acciaio inox per l’affinamento e la maturazione.

Una volta avviata la fermentazione secondaria, la sua evoluzione viene seguita attraverso il controllo costante delle condizioni favorevoli al suo corretto svolgimento, come la quantità di anidride solforosa e il pH, quest’ultimo misurabile con un apposito kit di analisi del vino.

Effetti organolettici della fermentazione malolattica

I batteri lattici coinvolti nella fermentazione secondaria, oltre all’acido malico, tendono a metabolizzare anche gli zuccheri residui qualora siano ancora presenti nel mosto dopo la fermentazione alcolica. Inoltre, dal momento che la maggior parte di questi microrganismi ha un metabolismo eterofermentante, non producono solo acido lattico e i suoi sali, ma anche altri prodotti secondari capaci di migliorare il profilo aromatico del vino, riducendone l’acidità e favorendone anche la chiarificazione.

Pertanto, a seguito della conversione malolattica, il vino assume maggiore equilibrio, persistenza e profumi più intensi. Le note erbacee diventano meno marcate e si accentuano i toni di cuoio, spezie, caramello e vaniglia, facendo così guadagnare alla bevanda una certa complessità e ricchezza di aromi.

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